“Non sempre cambiare equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare” Winston Churchill
Il cambiamento non è più un'opzione, è una necessità: di Terra ne abbiamo una sola e la stiamo distruggendo. È il momento di guardare a ciò che abbiamo fatto fino a ora con sguardo critico e di cambiare rotta. Il progresso da una parte ha portato miglioramenti inimmaginabili nella vita dell’uomo, ma ha anche provocato un’alterazione dell’equilibrio naturale. Nella corsa alla globalizzazione, abbiamo dimenticato ciò che veramente è importante: le persone. Che sia questa l'ultima chiamata per tornare a una comunità fondata sui valori della cooperazione, della solidarietà, della responsabilità condivisa?
Eroi, delega e il rischio di deresponsabilizzazione
“Sventurata la terra che ha bisogno di eroi” disse Bertolt Brecht, quando gli atti eroici erano spesso appannaggio di singoli individui, che si distinguevano dagli altri per il coraggio, l’ingegno, una certa temerarietà anche. Questa invece è un’epoca in cui al centro c’è la collettività.
Abbiamo bisogno degli altri, perché nessuno si salva da solo e nessuno può salvare la collettività. Dipendiamo gli uni dagli altri e solo insieme possiamo superare le crisi e migliorare. Non c’è più spazio per il singolo con le sue dinamiche competitive; il tempo dell'esaltazione dell'individuo in contrapposizione con la collettività è finito. È tempo di collaborazione, interdipendenza, connessione. Il pericolo ci ha mostrato quanto siamo una comunità che condivide lo stesso destino a livello planetario: o viviamo tutti insieme o ci perdiamo tutti insieme. Non ci sono altre possibilità.
Le innovazioni, i cambiamenti su scala globale, l’unica misura utile per le crisi che si prospettano all’orizzonte più prossimo, possono avvenire solo se coinvolgono molte persone o se avvengono a livello di organizzazioni.
Non ci può essere un “Altro” che, investito da una serie di caratteristiche positive, per quanto eccezionali, possa risolvere da solo una situazione critica. A maggior ragione quando la crisi è globale e aggredisce tutti gli ambiti della vita. Non c’è un deus ex machina, che salverà le sorti dell’organizzazione con il suo intervento risolutore, mettendo ordine nelle cose.
La delega a qualcuno, in una situazione del genere, potrebbe apparire come una prospettiva tranquillizzante, auspicabile addirittura. Di contro, questa stessa speranza, oltre a non essere fondata, rischia di essere la causa di una deresponsabilizzazione delle persone, delle istituzioni, delle organizzazioni dall’agire in prima persona. Se non ci sarà alcuna venuta millenaristica di un eroe, allora dovremo imparare noi stessi ad agire nel modo più efficace, cioè insieme.
Più leadership e meno leader
La pandemia ci ha mostrato, in maniera ancora più forte rispetto al passato, che c’è bisogno di più leadership e meno leader. C'è bisogno di una leadership che accresca la consapevolezza di essere tutti partecipi di un destino comune, per avere la capacità di far accedere le cose, di riempire i vuoti che si osservano. La leadership non si esaurisce in poche grandi personalità di spicco. Ciascuno di noi ha leadership, perché tutti possiamo esercitare un ruolo importante nel contesto, nelle relazioni e nei ruoli che ricopriamo. La leadership non si consuma in un istante, ma permea ogni aspetto della vita perché riguarda sia ciò che siamo sia come lo facciamo.
L’obiettivo è fare in modo che tutti, a prescindere dalle responsabilità che hanno, siano messi in condizioni di esprimere la propria leadership. Affinché questo avvenga, servono organizzazioni in grado di valorizzare coinvolgimento e apprendimento e non solo comando e controllo.
La centralità delle relazioni umane e la forza della coesione
Da una crisi non si esce uguali. O ne usciamo migliori o peggiori e il modo in cui ne usciamo dipende dalle decisioni che prendiamo durante la crisi. Proprio la recente pandemia può costituire una lezione importante per imparare qualcosa a riguardo: l’unico modo per affrontare le crisi è appellarsi alla propria umanità, stringersi nella comunità, avendo cura l’uno dell’altro, collaborando. È nell’incontro che si sviluppano i progetti di vita, di lavoro, di famiglia, che si affrontano le crisi, che si attuano i cambiamenti. L’essere forzatamente separati dagli altri - familiari, amici, colleghi - ci ha ricordato, o insegnato in alcuni casi, proprio il valore delle relazioni.
Abbiamo fatto esperienza della fragilità e della vulnerabilità. Abbiamo compreso di come siano una presenza ineliminabile nelle nostre vite e questo ha messo in evidenza, di contro, la necessità della condivisione, della comprensione, dell'empatia.
La deprivazione di stimoli esterni a cui siamo stati costretti ha fatto emergere una consapevolezza più attenta riguardo ai valori fondanti delle nostre vite. Dopo avere preso coscienza di ciò che conta, non bisogna perdere l'occasione, la motivazione, per instradare il proprio impegno verso un nuovo modo di relazionarsi con gli altri.
Smart working e integrità
Con lo smart working, il lavoro è entrato in casa, varcando la soglia che divide il mondo privato da quello lavorativo. Quando questo confine è venuto meno, abbiamo dovuto trovare una sintesi tra le nostre diverse identità, ma, professionale, personale, sociale, umano sono solo aggettivi che abbiamo attaccato, in modo sempre più posticcio, alla vita, dividendola in ambiti separati.
La verità è che sono le persone, con il loro vissuto, le loro esperienze, le loro fragilità al centro, in famiglia come nelle organizzazioni. Se per attivare un cambiamento sono necessarie cura e attenzione verso gli altri, per maneggiare le emozioni, le debolezze degli altri, serve integrità. Le prime ci possono aiutare a sviluppare una leadership dove il profitto e il benessere includano tutti, la seconda per avere un reale allineamento tra i valori, le credenze, le parole e le azioni.
Scambio, coinvolgimento, condivisione
Pur credendo di avere il dominio sulla realtà che ci circonda, il controllo su ciò che accade intorno a noi tanto da poter affrontare le circostanze più diverse, ci siamo trovati nell'incertezza, e nella paura. Pur avendo a disposizione conoscenze e tecnologie che mai avevamo avuto in passato, ci siamo trovati costretti a ricorrere a difese come distanza e isolamento, che si usavano al tempo della peste. Tutto questo deve aprire gli occhi su quanto anche l'ultimo baluardo del potere, l'esercizio del controllo, sia venuto meno o sia da sempre un'illusione.
Nelle organizzazioni che si fondano sul comando, le persone vengono svilite e scoraggiate. Il leader che impegna le sue energie e il suo tempo nella supervisione costante delle attività degli altri, non lascia spazio alla voglia di sfidarsi e migliorarsi. Quando il leader non dà fiducia, non valorizza le persone, limita lo sviluppo e l'utilizzo del patrimonio che ognuno rappresenta per l'organizzazione.
La pandemia ha dimostrato che, quando sono prese in causa direttamente e hanno un obiettivo comune, le persone sono in grado di agire coese, efficaci e tempestive, sacrificando bisogni individuali per un bene comune e maggiore.
Questo comportamento presuppone che, per determinare il successo di una iniziativa, gli obiettivi siano partecipati, nella comunità sociale così come in quella organizzativa. In mancanza di una visione strategica, appannaggio di tutti, attivare le persone all’azione e coinvolgerle diventa un’impresa fallimentare. La motivazione è una forma di gestione del sé, che innesca emozioni positive per indirizzare le nostre azioni verso un obiettivo.
Per attivare il cambiamento all’interno di un’organizzazione, quindi, serve quindi uno scopo, in grado di costituire un efficace stimolo per avviare e mantenere comportamenti mirati, in un contesto di condivisione e coinvolgimento.