Comprendere i cambiamenti che inevitabilmente le crisi impongono significa fare “attenzione” alla relazione che il presente intrattiene con “il prima” e “il dopo”.
Significa allargare lo sguardo, cogliere nuovi legami e implicazioni della nostra risposta alla crisi, e magari avere una maggiore consapevolezza di come stavano le cose prima e di come vorremmo invece che stessero.
“L’esperienza non è ciò che accade a un uomo: è ciò che un uomo fa con quel che gli accade” (Aldous Huxley).
- Due modi diversi di affrontare la crisi: la metafora di Ulisse e Penelope
- Verso una nuova cultura manageriale
La pandemia per Covid-19 ha portato nella vita di un grande numero di persone nel mondo molta sofferenza fisica, emotiva e psicologica.
Doveroso ricordare che secondo gli ultimi dati OMS, Fonte: Health Emergency Dashboard del 22 Marzo 2021, sono 2.736.721 le persone decedute per coronavirus nel mondo.
E questo è senza dubbio il lato più doloroso della medaglia. L’altro lato è rappresentato dalla possibilità di cambiamento e trasformazione, insito in tutte le crisi. Possibilità in potenza, vale la pena di ricordare.
L’occasione era, ed è, quella di riflettere e dare una svolta alle nostre vite, alle nostre organizzazioni, ai nostri modelli economici, al nostro pianeta.
Come stiamo vivendo questo momento di pandemia?
Il vissuto di questo momento interminabile di sospensione è complesso, ambiguo e contraddittorio.
Alcuni sottolineano l’effetto “pause”, altri lamentano, al contrario, la totale invasione del lavoro, digitalizzazione permettendo, nella vita privata e meno tempo per pensare (“passo da una call all’altra” è la verbalizzazione più frequente).
Quale occasione ci ha offerto la pandemia che, forse, non abbiamo pienamente colto?
Fa capolino la sensazione di stare riproducendo gli stessi automatismi pre-pandemia, dai quali con troppo entusiasmo, e troppo velocemente, ci siamo sentiti, per qualche settimana, liberati.
Ossessione della presenza, quando non addirittura dell’ubiquità, e rapidità di risposta, sono ormai diventati la misura della nostra intelligenza e i presupposti di successo del nostro stare al mondo.
Due modi diversi di affrontare le crisi: la metafora di Ulisse e Penelope
Siamo riusciti davvero a valorizzare questa esperienza di sospensione e farla diventare una “vera” esperienza?
O non siamo stati capaci di essere altro che l’Ulisse di De Chirico, ne “Il ritorno di Ulisse”, che rema nel salotto di casa sua, di pietra (immutabile), con gli abiti (abitudini) di sempre?
ULISSE è l’archetipo dell’intelligenza, dell’intraprendenza, del superamento dei propri limiti, dell’acquisizione di sfidanti traguardi, del coraggio e della resilienza (sventure, naufragi, incanti, ecc.).
Ulisse, soprattutto, si muove fisicamente nel mondo. Archetipo del guerriero che misura il proprio valore attraverso gli altri. Moderno e multiforme viene “bacchettato” già da Dante per essere l’emblema di colui che non accetta limiti, neanche quelli ritenuti invalicabili.
Ulisse ha del limite l’accezione negativa della mancanza.
Ad Ulisse, come è noto, si contrappone la figura di PENELOPE che, potentissima e strategica nella sua apparente immobilità, da sola, governa Itaca, il tempo e lo spazio.
Penelope at-tende, non aspetta perché ciò che viene aspettato “non dipende da noi”. Aspettare è una condizione passiva perché rende in balia di ciò che si aspetta.
L’at-tendere, invece è il “muoversi verso qualcosa”, è un fare attento.
Penelope ha del limite l’accezione positiva.
Come è perché questa metafora potrebbe aiutarci a guardare alle nostre organizzazioni e all’agire manageriale in modo diverso?
PROGETTARE IL FUTURO, NON ASPETTARLO
“Il futuro non ci porta nulla. Non ci dà nulla: siamo noi che, per costruirlo dobbiamo dargli tutto” Simon Weil
Verso una nuova cultura manageriale
La cultura manageriale, così come l’abbiamo conosciuta, ha da sempre scelto Ulisse.
Ha però oggi, la grande opportunità di integrare Penelope, riconciliando:
- Il viaggiare con il permanere;
- La concretezza di una agenda fitta di impegni con il tempo vuoto;
- L’impazienza con il governo dell’attesa.
Abbiamo, ancora, l’occasione di portare Penelope al rango di Ulisse illuminandola per metterla al centro della scena per pervenire ad una consapevolezza come risultato di una scelta intenzionale ed accettare di essere messi veramente alla “prova”.
Ci deve, però, essere la disponibilità a ricevere da questa “prova” le indicazioni di una trasformazione profonda di noi stessi, individualmente e come “sistema”.
Una grande lezione, nel trovarci nella situazione di Penelope, potrebbe essere quella di ricordare a noi stessi, quando siamo preda del culto della velocità e del “troppo pieno”, ciò che perdiamo:
- Il gusto di vivere nella consapevolezza della nostra vulnerabilità;
- La capacità di prestare attenzione a quanto accade, e ci accade;
- Il primato dell’agire, l’a-tendere di Penelope, in vista di uno scopo, sul fare;
- Il valore della solitudine e della famiglia, nella nostra percezione di successo.
All’“andrà tutto bene”, delle prime settimane di pandemia, preferiamogli “potrebbe andare meglio di prima” non dimenticandoci di PENELOPE, soprattutto nel Back to work, dove il produttivismo post-crisi potrebbe travolgere l’improcrastrinabile riflessione sul futuro che vogliamo per le nostre organizzazioni, per il nostro modo di vivere e lavorare, per la nostra società e per il nostro pianeta.