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Superare la cultura della paura

Superare la cultura della paura
Published: December 20, 2022
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“La vita è un processo in cui si deve costantemente scegliere tra la sicurezza (per paura e per il bisogno di difendersi) e il rischio (per progredire e crescere). Scegli di crescere almeno dieci volte al giorno.” Abraham Maslow

La paura è un'emozione primaria, con la quale ci confrontiamo tutti i giorni, tuttavia, è un fatto raro che essa diventi argomento di dialogo e confronto aperto all’interno delle organizzazioni, nonostante l’impatto che questa genera nelle persone che ne fanno parte.

Quante volte infatti viviamo il peso di una minaccia che, senza spazio di confronto, diventa un vissuto costante a tal punto da bloccare il nostro potenziale espressivo e generativo? Questo argomento, per quanto spinoso da prendere in considerazione, diventa quindi un aspetto cruciale da affrontare per favorire un ambiente di lavoro proattivo, agile e orientato all’innovazione.

Uno tra i naturali antagonisti della paura, uno tra i fattori in grado di neutralizzarla, è il coraggioPaura e coraggio non sono semplicemente due facce di una stessa medaglia, ma presentano un tratto di contiguità interessante: il rischio

Quando la paura diventa  il tratto dominante di una cultura organizzativa, le persone convivono con un inquilino scomodo, che sfida la capacità di concentrazione, risveglia l’istinto di autoconservazione, rallenta i processi decisionali, trasforma i rischi in scommesse troppo pericolose e innovare diventa praticamente impossibile.

Spesso però molte delle situazioni in cui si sperimenta la paura sono legate al cambiamento, occasioni in cui si attua uno stravolgimento di ruoli, processi, competenze, comportamenti portando inevitabilmente le persone ad abbandonare la propria comfort zone, con tutte le resistenze e i timori connessi. 

La paura è nemica dell’innovazione che conduce al successo

Se l’innovazione è necessaria per progredire, come si può allora contenere e gestire la paura associata quando questa diventa bloccante  o ostacolante? Si può forse aspirare a un ambiente organizzativo ‘sicuro’ e privo di timori?

La sensazione di sicurezza non è subordinata a un ambiente in cui tutto va bene e non ci sono imprevisti, ostacoli, scadenze, sfide. Un contesto simile semplicemente non esiste, ma proprio questa consapevolezza legittima la volontà e le azioni intraprese per creare un ambiente lavorativo che sia percepito come sicuro.

Se la paura consuma risorse, paralizza la creatività, inibisce il pensiero generativo, è interesse delle organizzazioni impegnarsi per creare un clima in cui ogni collaboratore si riconosca, si senta partecipe, sia libero di esprimersi, si senta sicuro nell’investire risorse e nell’offrire il proprio contributo.

La sicurezza psicologica, quindi, è un aspetto imprescindibile per liberare il potenziale di un team e quello delle persone, a maggior ragione nello scenario attuale in cui la natura del lavoro è cambiata: le attività routinarie stanno via via diminuite, mentre i compiti che richiedono di saper giudicare, saper gestire l’incertezza, coordinarsi, collaborare e comunicare con gli altri aumentano costantemente e molto probabilmente aumenteranno sempre più. Ed è proprio in un clima di forte sicurezza psicologica, che le persone sentono, tra le altre cose, di potersi assumere dei rischi e mettersi in gioco. 

(Per approfondire leggi l'articolo: "Sicurezza psicologica e team working: le evidenze della ricerca Google")

In quest’ottica il coraggio che supera la paura non è da considerarsi come una variabile individuale, come un qualcosa che si ha o non si ha a prescindere, ma come qualcosa da costruire, alimentando costantemente la possibilità di percepire l’organizzazione come un contesto psicologicamente sicuro. 

La partecipazione richiede un ambiente sicuro

Nei contesti in cui resiste una cultura costruita sullo sfruttamento della paura, come elemento che garantisce lo status quo e i rapporti di potere esistenti, essere vulnerabili è percepito come una mancanza, una fragilità, un punto di debolezza. Questo comporta la negazione culturale e personale di paure e vulnerabilità, inevitabili in quanto connaturate all'esperienza umana stessa.

A chiunque può essere capitato di sperimentare l’impatto di questo lato oscuro, quando preoccupazioni legittime diventano paure ingiustificate, in cui i fatti sono distorti, i pensieri negativi si affastellano, un solo errore mette in ombra una carriera lunga ed eccellente. Nessuno è immune da queste sensazioni che, spesso, vengono gestite da soli, proprio perché c’è il timore di mostrarsi deboli. Così facendo, la paura cresce e si inasprisce nel silenzio e nell’isolamento.

Benché tutte le persone da ogni posizione all’interno dell’organigramma aziendale possano contribuire a creare un clima di sicurezza e libertà di espressione, i leader, in quanto role model, dovrebbero manifestare per primi la propria vulnerabilità. Questo coming out ha un duplice aspetto positivo: da una parte l’espressione di questa fragilità la porta a normalizzarla, dall’altra il mettersi a nudo con i propri timori alza il livello di autenticità percepito portando benefici nella relazione. 

Se la fiducia fosse l’altra faccia della paura?  

La difficoltà e il clima di incertezza dei tempi attuali esercitano un'influenza significativa sulle culture organizzative. Se come ha detto Richard Branson, dobbiamo scordarci la sicurezza perché il futuro è imprevedibile, dobbiamo accettare di includere in questo panorama anche la naturale riluttanza ai cambiamenti: nelle difficoltà le persone tendono a giocare sul sicuro.

Eppure, sembra che questo nuovo mondo premi, al contrario, un approccio coraggioso, fondato su tentativi ed errori come mezzo di apprendimento e miglioramento continui. Affinché sia possibile attuare questo metodo di lavoro, è necessario contenere la paura, creando nelle organizzazioni una cultura della sperimentazione e un apprezzamento del potere dell’apprendimento soprattutto a seguito di errori. Il punto di partenza è la fiducia, in se stessi e nei collaboratori. Questa svolge un ruolo fondamentale nel lavoro in team, nelle fasi di  cambiamento ed è al servizio dell’innovazione.

"There’s no team without trust" afferma Paul Santagata, indicando nella fiducia il collante del lavoro di squadra. Proseguendo il ragionamento in questa direzione, si può quindi presumere che  la paura si possa affrontare insieme, attraverso rapporti autentici tra le persone, attraverso la conoscenza e la memoria, all’interno dello spazio "sicuro" tracciato dalla cultura e dall’identità aziendale.

La storia delle nostre organizzazioni mostra che non sempre si può prevedere il futuro, ma è anche la prova che si possono gestire gli imprevisti e superare gli ostacoli. Invece che lasciarsi travolgere dalla paura, consumando le proprie energie in questa attività poco proficua, possiamo avere fiducia nella capacità di ognuno di affrontare le difficoltà quando si presentano, di affidarsi alle capacità dei team di reinventarsi.