L’attuale emergenza sanitaria sta minacciando concretamente il nostro istinto alla sopravvivenza, “conatus essendi”, il nostro desiderio di vita in quanto esseri naturali.
Ancor di più l’isolamento a cui siamo sottoposti sta minando un altro impulso di base connesso alla sopravvivenza: il nostro bisogno “di riconoscimento, di carezze”. E cosa dire della nostra libertà?
Questo Covid fa tornare in primo piano la nostra parte più emotiva.
Proprio perché ci sentiamo spaventati, minacciati o in pericolo, emerge l’ansia. L’ansia, definita paura anticipatoria, ci fa avvicinare e fiutare la situazione, attiva l’organismo prima che il fatto si manifesti, per capirlo e analizzarlo.
Il punto è che questo famigerato virus, proprio perché non conosciuto, ci potrebbe traghettare velocemente dalla paura, alla sofferenza, alla repulsione del virus fino al panico. Il panico, però, manda in tilt.
Con la nostra sensibilità emotiva “accesa al massimo” rischiamo di essere concentrarci sugli effetti delle situazioni a discapito delle cause, minando così la nostra capacità di scegliere, decidere, conoscere.
Affermare che non ci sono risorse a disposizione, e ancor di più non trovare vie di influenzamento, non è proprio nelle nostre corde e, quindi, sono qui per scrivere alcuni spunti che voglio condividere con voi.
Questa crisi sanitaria potrebbe rovesciare le nostre percezioni?
Da una situazione tutti fuori a una situazione tutti dentro
La motivazione, alla base della relazione, che ci spinge a interagire con l’altro è prevalentemente un’esigenza pratica, un bisogno e/o un dovere.
Traiamo anche soddisfazione dalla relazione ma stentiamo a riconoscere questa soddisfazione, presi come siamo dall’urgenza di realizzare i contenuti della nostra relazione, gli obiettivi.
Primo spunto pratico
Potremmo non dimenticare più l’altra motivazione che ci spinge ad interagire con gli altri, “quell’impulso alla socievolezza” di cui ha parlato il sociologo Georg Simmel ossia il “sentimento di soddisfazione” derivante dal puro piacere di essere gli uni con gli altri, indipendentemente dall’esito della relazione stessa?
Oggi il Coronavirus ci sta obbligando a rallentare, quasi a fermarci. Restare a casa potrebbe significare riscoprire l’essenziale? Che impatto avrebbe sulle nostre esistenze?
Chiamo il collega quando ho bisogno o devo oppure mi creo uno spazio per una videochiamata per il piacere di conversare con lei/lui, per il gusto di raccontare un episodio che mi è accaduto, per il desiderio di condividere un lavoro, senza un’utilità diretta?
Sosteniamoci con le parole e con gli sguardi a distanza, per la soddisfazione che ne deriva!
Fragilità
Siamo fragili, siamo aggredibili. Mai come ora ci sentiamo impotenti davanti ad un problema sconosciuto, nonostante l’innovazione tecnologica, IA, la globalizzazione.
Secondo spunto pratico
Come la fragilità mi potrebbe supportare a fronteggiare lo spavento di questa situazione?
Che ne dite di considerare la fragilità come una risorsa, anzi di più un valore che universalmente caratterizza l’essere umano e che accentua l’attenzione e la sensibilità sulle problematiche, sulle difficoltà, per dare una mano a noi stessi?
Avere la capacità di considerare le nostre ferite medicate e diventate cicatrici un punto di forza, per scorgere territori inesplorati?
Esiste un legame positivo tra il vivere serenamente nell’accettazione delle proprie fragilità e il concetto di autostima.
Se si ha una buona autostima si è in grado di vivere serenamente le proprie fragilità perché consapevoli che di fronte all’imprevisto o all’errore riusciamo a individuare le risorse per farvi fronte.
A sua volta essere in grado di vivere a contatto con le proprie fragilità, con una solida autostima, ci dice anche che la persona è in grado di accogliere le emozioni autentiche, soprattutto quelle cosiddette “negative” come un sensore utile, che indica come si sente rispetto alla situazione circostante.
Non c’è bisogno, per esempio, di rapportarsi al Covid 19 imponendosi di sentire esclusivamente la propria forza, di pensare conseguentemente come affrontare la situazione. Potremo darci il permesso di sentire la nostra tristezza, di cogliere la nostra impotenza rispetto alla situazione.
Così facendo saremo in grado di mettere d’accordo due parti di noi: quella che minimizza e quella che vede scenari catastrofici. Questa opera interna di negoziazione è la prima da sistemare per affrontare l’angoscia del Covid.
Fatto questo passaggio interiore, possiamo pensare a noi in relazione agli altri e al mondo. Sentirci più fragili ci rende meno individualisti, ci fa capire velocemente che siamo parte di un sistema.
In fondo il nostro nome viene nominato dall’altro. Quando la nostra razionalità si unisce alla nostra fragilità la nostra umanità si manifesta al meglio.
La soluzione al contagio è una connessione logica & emotiva!
L’economia delle carezze
Lo psicologo Claude Steiner sosteneva che a tutti noi, da bambini, i nostri genitori hanno inculcato cinque regole restrittive riguardo ai riconoscimenti, detti carezze, per controllare i propri figli:
- Non dare carezze quando ne hai da dare;
- Non chiedere carezze quando ne hai bisogno;
- Non accettare carezze se le vuoi;
- Non rifiutare carezze quando non le vuoi;
- Non dare carezze a te stesso.
Terzo spunto pratico
Con questa sensazione vivida e corporea di privazione dell’altro abbiamo ancora voglia di trascorrere consapevolmente la nostra vita in questo stato di parziale privazione di carezze?
Con questa percezione cognitiva e sensazione corporea di illimitatezza fisica delle carezze sarà per noi un piacere profondo riprenderci la nostra spontaneità e intimità.
Adesso a livello di percezione cognitiva, domani finito il distanziamento sociale, anche corporea. Facciamo sentire all’altro quanto ci manca, quanto è importante!
Alimentiamo la gratitudine e la solidarietà!
Vorrei chiudere questa riflessione non trascurando che l’essere umano è fatto da corpo, psiche e spirito e quindi vorrei condividere un ultimo spunto che riguarda la nostra vita spirituale.
Fortezza
Mi fa un po' paura scomodare una virtù cardinale ma lo farò guidata dalle parole del teologo Vito Mancuso.
Questa impossibilità di adempiere ai propri impegni e obblighi, unita all’isolamento, ci porta a sentirci in uno stato di temporanea disabilità.
Improvvisamente dobbiamo modificare abitudini, priorità, fronteggiare ostacoli più o meno complessi. Siamo richiamati a esercitare la nostra perseveranza, fermezza, pazienza, capacità di sopportazione, in altre parole ricorriamo alla nostra fortezza.
Mancuso parla di una fortezza che è una forza che ha due direzioni: attiva e passiva. Quella attiva è il coraggio, quella passiva è la resilienza.
Come utilizzare il coraggio, la nostra forza attiva, in questo momento?
Richiamerei in causa il concetto del “livello 3 di apprendimento” formulato da Gregory Bateson, l’imparare a disimparare.
In altre parole, il coraggio potrebbe supportarci ad abbandonare certezze, a vivere con sufficiente serenità cambiamenti “salutistici”, politici, economici, lavorativi, relazionali, in vista di un bene comune da ricostruire.
Così facendo potremo affrontare situazioni non conosciute, ritrovando un sentimento di maggior fiducia e di razionalizzazione del fenomeno Covid.
Coraggio e Responsabilità a braccetto, per trovare nuovi modi di conoscere e agire, altamente civili e profondamente sociali!
Come utilizzare la resilienza, la nostra forza passiva, in questo momento?
La resilienza ci permetterà di mantenere forti i legami, nonostante il ritiro relazionale, di affrontare questo ignoto che ci spaventa. La resilienza, altresì, ci permetterà di riuscire a cogliere il valore narrativo e la memoria per il futuro che questo momento contiene.
Roberta Martini è Executive coach & Senior Consultant in Impact Italia. Puoi metterti in contatto con lei qui.