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Intelligenza Artificiale e Formazione Aziendale

Formazione aziendale e intelligenza artificale
Published: October 18, 2024
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Premessa

Lavoro da 30 anni nel mondo della Formazione Aziendale, prima come Direttore della Formazione in alcune grandi multinazionali in settori diversi, come IT, Telco e GDO, e oggi come Senior Partner di un’azienda di consulenza internazionale che accompagna le organizzazioni e preparare Manager e Professional a gestire i grandi cambiamenti organizzativi e sociali che caratterizzano il contesto globale.

In un mondo VUCA (Volatility, Uncertainly, Complexity e Ambiguity), che ci ricorda ogni giorno di essere tale, l’avvento di una tecnologia rivoluzionaria come l’ Intelligenza Artificiale, ha tutte le caratteristiche per essere un elemento profondamente “disruptive”, sul quale la formazione aziendale deve cominciare a porsi prospettive di ricerca, di analisi e di intervento, creando le condizioni per cui sia i Professionisti della Formazione che i Manager e Professional che frequentano i luoghi formativi, siano essi fisici o digitali, siano preparati all’avvento di questa “onda tecnologica” ponendosi le domande per analizzarla e comprenderla, sviluppando capacità per gestirla e mettendo in atto comportamenti che la indirizzino per essere una “risorsa per l’umanità” e non un fattore di rischio e di criticità.

Per ragioni di spazio di questo articolo, sapendo che sto scegliendo e limitando i possibili “sguardi” e approcci al tema, proverò a rispondere a questa domanda: “Come prepariamo Manager e Professional, dal punto di vista Comportamentale ed Etico, all’avvento della AI?”

Preparare Manager e Professionale all’avvento dell'Intelligenza Artificiale

La prospettiva con cui analizzerò la formazione dei manager e professionals, è quella delle Soft Skills, cioè quel “bagaglio” di capacità e attitudini comportamentali e relazionali che ciascuno sviluppa e porta sul proprio luogo di lavoro. Quindi non mi occuperò, perché non è il mio ambito, dello sviluppo formativo delle Hard Skills, per intenderci, di quelle competenze tecniche e abilità tecnologiche necessarie per maneggiare e gestire al meglio strumenti di Intelligenza Artificiale, che sono fondamentali in ottica di rivoluzione tecnologica. Sono un curioso fruitore di tecnologia, cercando di capirne il senso e i risvolti per l’essere umano, ma non sono un esperto di tecnologia per poterne parlare in termini di modelli formativi da introdurre nelle organizzazioni per potenziarne l’apprendimento.

Quindi il mio focus sono le Soft Skills. E partendo da questo assunto, sottolineo che gli abitanti del mondo organizzativo, prima ancora di essere dei professionisti nel ruolo aziendale che ricoprono, sono cittadini del mondo. 

Preparare manager e professional all’avvento della AI, dal punto di vista dei comportamenti, significa aiutare l’umanità a gestire l’arrivo del “Onda che Verrà”, citando il titolo di un libro di Mustafa Suleyman, una delle 100 persone al mondo più influenti nel campo della AI, fondatore della “Inflection AI” e oggi scelto da Microsoft come Direttore della sua divisione di Intelligenza Artificiale.

In un mondo sociale e organizzativo che si prepara a vivere una rivoluzione tecnologica i cui confini non sono ancora chiari e definiti, il compito dei formatori sarà quello di aiutare le persone a gestire una fase di cambiamento profondo, che li costringerà a ripensare il loro lavoro ed acquisire nuove competenze, sia nell’utilizzo degli strumenti, che nell’approccio alla loro attività.

Ma quali sono gli argomenti Soft su cui porre attenzione per prepararsi ad un utilizzo più consapevole dell’Intelligenza Artificiale? 

La più importante, per me fondamentale, è quella di preparare le persone, sia in azienda che nelle scuole, allo sviluppo del pensiero critico. È accertato da molti studi e ricerche che la AI generativa è molto persuasiva nelle risposte che mette a disposizione dei suoi fruitori, il che rende molto difficile metterne in discussione i risultati, portando ad un’eccessiva fiducia nella macchina e nelle sue risposte. Ma è altrettanto provato, che molte volte la macchina genera “fake persuasive” sul quale vengono poi sviluppate e radicate idee, risposte e convinzioni che possono permeare le scelte individuali e collettive, con risvolti etici ed organizzativi.

La ricerca ci dice anche che la AI può omogeneizzare i risultati, inducendo le persone ad avere idee simili e riducendo lo spazio della creatività e diversità cognitiva, che sono delle abilità critiche per lo sviluppo dell’essere umano e delle organizzazioni, e che devono essere difese e preservate.

Stante questo assunto, la capacità di elaborare un pensiero critico diffuso diventa quindi fondamentale, direi imprescindibile, per promuovere una cultura sociale che sappia utilizzare la AI come uno strumento abilitante e migliorativo, non come sostituto del nostro pensiero.

Per capire meglio la priorità dello sviluppo del pensiero critico, dobbiamo capirne il valore, prima di tutto partendo dal significato. Il pensiero critico è la capacità di pensare in modo chiaro e razionale, comprendendo la connessione logica tra le idee. Il filosofo Robert H. Ennis, uno degli studiosi più importanti sul pensiero critico, lo ha definito così: “Un pensiero razionale e riflessivo focalizzato a decidere cosa pensare o fare”.

Il pensiero critico (Critical Thinking) viene considerato una delle abilità più importanti del XXI secolo. Fa parte delle 4C Education Skills del futuro. Le altre sono Creativity, Collaboration & Communication.

Formare al Critical Thinking significa preparare le persone a gestire “l’onda che verrà” sviluppando tre capacità chiave: riflettere senza affidarsi a giudizi impulsivi e bias; saper fare e farsi domande; cercare alternative, analizzando le soluzioni possibili per il raggiungimento di un obiettivo. 

Queste 3 capacità sono molto delicate quando si utilizza una tecnologia Machine Learning, perché vuol dire essere attrezzati a: giudicare la credibilità delle fonti; raccogliere e valutare le fonti e le informazioni rilevanti; giudicare la qualità di un argomento, incluso l’accettabilità delle sue motivazioni, presupposti e prove; fare domande appropriate; pensare in modo aperto sapendo generare sistemi di pensiero alternativo; accettare l’errore e la diversità; cercare di rimanere sempre informati; essere capaci di mettere e mettersi in discussione.

Allenare il pensiero critico è un apprendimento necessario per essere capaci di leggere la complessità dei fenomeni, come quello dell’IA, che richiede tempo e sforzo individuale, due dimensioni quelle del “Tempo e Sforzo” che non si sposano con un mondo economico e sociale teso alla ricerca di risposte rapide e di soluzioni pronte all’uso, che abbiano, possibilmente, anche un basso grado di coinvolgimento sia cognitivo che emotivo, quello che Baumann definisce, con un’immagine potente, un “mondo liquido”.

Il pensiero critico ha un legame profondo con un’altra capacità che va ripresa, approfondita e ri-allenata: quella di “saper fare domande”. 

ChatGPT è l’esempio concreto come questa sia condizione necessaria per dare avvio all’interazione con questa piattaforma. Imparare a generare il “prompt”, la domanda giusta, è l’elemento fondamentale che fa partire il dialogo con la macchina. Senza la domanda di partenza, possibilmente generativa, ChatGPT è un foglio bianco. La domanda è l’elemento scatenante della relazione uomo-macchina.

Le risposte di ChatGPT sono una conseguenza delle domande poste. Più le domande sono articolate, profonde, continue, incessanti, esplorative, creative, coraggiose, più la macchina elabora, cerca di trovare risposte, approfondisce il tema che gli viene sottoposto, non fermandosi ad una risposta superficiale, ma facendo ricerca, mettendosi in discussione ed imparando con noi.

Quella di fare domande, sembra un’abilità banale da sviluppare, ma non è così. 

In un mondo dove domina la “risposta”, re-imparare a fare domande, non è un elemento secondario. E neppure facile da attuare. Saper porre domande che generano dialogo, “Empowering Questions”, è un’abilità molto più complessa di quello che crediamo. Le domande sono alla base della generazione di innovazione e sono alla base dell’interazione consapevole con il mondo del Machine Learning. Solo con la formulazione delle domande giuste, che approfondiscono, che generano ulteriori domande, che ci costringono a non accontentarci della prima soluzione, permettono un uso del IA consapevole e utile ai fini della crescita individuale e organizzativa.

Un’altra dimensione su cui porre attenzione dal punto di vista formativo è quello che le organizzazioni devono costruire un contesto e una cultura dove “l’apprendimento continuo” sia considerato una risorsa aziendale, non un costo. L’apprendimento continuo è un elemento imprescindibile di una relazione sana con una rivoluzione tecnologica in corso. Quando parliamo di Up-skilling o Re-skilling, per usare parole in voga nel mondo organizzativo, stiamo parlando di questo. 

Le organizzazioni devono facilitare l’accesso ad un apprendimento personalizzato, continuo, facilitato sia dall’utilizzo di App basate sull’IA, che di interazione umana, che ci stimoli continuamente ad esplorare ed affrontare nuove sfide con fiducia. Costruire nelle aziende un contesto di apprendimento continuo, non significa solo creare un bell’ambiente di Digital Learning con piattaforme di ultima generazione, che è sicuramente necessario, ma significa, soprattutto, preparare Manager e Professional a utilizzarlo in maniera consapevole e utile al proprio sviluppo. Significa preparare le persone a: “Imparare ad Imparare”.

Per permettere un ambiente di apprendimento continuo, vanno formati i manager e professional su dimensioni come autonomia ed empowerment. Senza lo sviluppo di queste capacità, le persone si metteranno in un’ottica di avere un ruolo passivo nei confronti della tecnologia e agiranno di conseguenza, attuando, a seconda dell’inclinazione personale e delle proprie esperienze nei confronti della tecnologia, scetticismo e paure oppure ingenuità e cieca fiducia. Invece dobbiamo fare in modo che si sentano attori protagonisti delle novità tecnologica sia nei contesti organizzativi che sociali. 

Le persone devono sperimentare e provare la propria relazione con la AI. Ma per farlo devono acquisire il “coraggio” di farlo. Di varcare e sperimentare mondi che non conoscono. Sviluppare Empowerment significa mettersi in un cammino mettendo al centro la responsabilità del proprio autosviluppo. Il che vuol dire intraprendere un percorso di autoconsapevolezza che metta in evidenza i propri punti di forza e di debolezza e definendo azioni di miglioramento di cui ciascuno ne è l’autore consapevole.

Fin qui abbiamo analizzato dimensioni che attengono alla crescita del singolo. Ma c’è necessita di sviluppare anche un senso del NOI più diffuso. 

La relazione uomo-macchina rischia di acuire la dimensione individuale della persona, già preponderante nel mondo sociale, riducendo l’importanza di quella collettiva, del valore del team, della collaborazione e dello scambio, che sono, invece, fondamentali per un utilizzo etico, sano e consapevole dell’IA. 

Formare alla capacità di relazionarsi con team interdisciplinari e multidisciplinari diventa una priorità aziendale. In organizzazioni costruite per dare risposte rapide ed efficienti, la verticalità, che chiamiamo anche silos, è un elemento che può rappresentare sia un valore, ma anche un dis-valore, laddove diminuisce le relazioni che generano innovazione e creatività. 

Formare team multidisciplinari significa, usando una metafora, costruire “ponti” che attraversano i silos organizzativi mettendo a fattor comune le proprie esperienze nell’interazione con l’IA, discutendo collettivamente dei risultati emersi e delle criticità incontrate e trovando un accordo sulle decisioni da prendere. La formazione dei team multidisciplinari e interfunzionali aiuta alla costruzione di un Critical Thinking collettivo e alla crescita di una relazione sana e funzionale con la tecnologia. 

Ed infine, il processo di adozione di Intelligenza Artificiale in azienda, necessita la formazione di un altro attore protagonista: il manager. 

Il suo ruolo è cruciale nell’accompagnare il processo di trasformazione aziendale. Stiamo infatti parlando di una trasformazione aziendale su più livelli, quella che viene richiesta alle organizzazioni, per adattarsi all’avvento della AI, poiché non richiede solo l’implementazione di nuove tecnologie, ma anche di nuovi processi decisionali, di nuove forme organizzative, di nuovi ruoli e di nuove competenze. 

Occorre porsi le domande se il modello attuale di Leadership Manageriale presente nella propria organizzazione aiuti a liberare spazi di autonomia, diminuisca il paradigma del controllo, sviluppi empowerment, lavori in ottica strategica e predittiva, stimoli l’innovazione, prenda decisioni fondate sui dati. I leader devono ridefinire il modo in cui approcciano e pensano l’utilizzo della AI in azienda, a partire dal miglioramento delle proprie personali conoscenze tecnologiche. 

Gli studi rilevano che la sfida più grande per i leader nell’introdurre e supportare l’intelligenza artificiale in azienda, è quella di creare una cultura che crei entusiasmo tra i dipendenti per le potenzialità di miglioramento offerte dalla AI. 

E che tipo di leader serve per promuovere la cultura di questo tipo? Che conosca o che comprenda bene le potenzialità delle tecnologie informatiche che vuole attuare. Che abbracci questa tecnologia e la sostenga con dedizione, in ogni momento, dimostrando un vero commitment basato su fatti. Che sia identificato in un Role Model in termini di adozione e utilizzo dell'intelligenza artificiale.

Ma deve anche essere consapevole dei limiti di questa tecnologia, sia etici che organizzativi. 

Deve essere in grado di promuovere una cultura dell’innovazione che utilizza AI come fattore abilitante, non come sostituto di personale. 

Le organizzazioni di oggi sono chiamate a sperimentare IA per capire quando e come applicarla per ottenere dei veri vantaggi competitivi. 

I Leader sono chiamati a trovare una sintesi tra questi elementi.

Conclusioni

Ci troviamo di fronte ad una delle maggiori sfide con cui la nostra specie si è confrontata, quella di creare un equilibrio in cui restiamo padroni del nostro destino, avendo una AI sempre più performante e i cui limiti non sono stati ancora esplorati. 

Dobbiamo fare in modo che le macchine migliorino ed estendano le nostre capacità cognitive, prendendo in carico i compiti più noiosi, mentre noi impariamo a guidare strategicamente i loro sforzi. Se riusciamo in questo sforzo, avremo una simbiosi uomo-macchina estremamente produttiva e portatrice di futuro roseo. 

Bisogna costruire le basi per un’alleanza tra intelligenza umana e artificiale.

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Testimonianza di Fabio Gabbiani, Partner e Senior Consultant Impact Italia, inserita nel libro scritto e curato da Gianluigi Redolfini "Intelligenza Artificiale in Azienda: prospettive da diversi settori e funzioni: Guida all'adozione dell'IA, con le testimonianze di Managers e Professionisti aziendali" disponibile sulla piattaforma Amazon al questo link. Ringraziamo l'autore per la gentile concessione.